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Governabili quegli anni Ottanta

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Da poco si era chiuso un decennio terribile, gli anni Settanta, caratterizzato dai movimenti studenteschi, dalla ulteriore divisione del Partito socialista dopo la stagione della unificazione e conseguentemente delle ripetute crisi di governo che produssero diversi scioglimenti anticipati delle Camere, dalla crisi economica dopo lo shock petrolifero del 1973 con l’inflazione a due cifre, e infine dal terrorismo brigatista, utopista e omicida, che raggiunse la punta più alta della sua azione devastatrice con l’assassinio di Aldo Moro. Quel decennio si era concluso politicamente con la solidarietà nazionale che vide i due maggiori partiti, la Dc e il Pci, trovare un’intesa di maggioranza insieme alle altre forze laiche e socialiste per difendere la democrazia e garantire la coesione del paese. I famosi anni Ottanta iniziarono con questo pesante fardello sulle spalle, ma la società italiana era percorsa da un fiume carsico di desideri di riscatto e di voglia di fare che ben presto si manifestarono in ogni campo.

L’Italia politica aveva tre avversari da battere, tutti figli del decennio precedente. L’inflazione, peggiore delle tasse perché colpiva i ceti più deboli riducendo il potere di acquisto delle famiglie, il terrorismo e la crisi economica con annesso riflesso sulla finanza pubblica. Il nuovo centrosinistra capì che le sfide non potevano essere vinte tutte insieme e, come sempre accade nella politica intelligente, i problemi furono gerarchizzati. Le priorità divennero l’inflazione e il terrorismo. Per la lotta alle Br, dopo la legge Cossiga del 1980, fu approvata nel maggio del 1982 la legge premiante per i pentiti che avessero contributito alla battaglia dello Stato e furono irrobustite e modernizzate le forze dell’ordine che ebbero risultati importanti, a cominciare dai carabinieri del generale Dalla Chiesa. Per contrastare l’inflazione, il governo di centrosinistra guidato da Spadolini, con Andreatta al Tesoro, nel luglio del 1981 decise il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia, la quale smise così di battere moneta per le esigenze dello Stato, che da quel momento dovette approvvigionarsi sui mercati finanziari a tassi più alti.

Queste due decisioni, leggi speciali e divorzio Tesoro-Bankitalia, erano le armi letali per sconfiggere i nostri nemici più insidiosi, terrorismo e inflazione. E così fu. Le Br non reclutarono più e la loro campagna meridionale produsse morti ma rimase al palo dei desideri, mentre l’organizzazione veniva scalfita pesantemente grazie ai pentiti, anche se ebbe dei colpi di coda sino al 1988 con l’assassinio del senatore Ruffilli. I democristiani, le forze dell’ordine, i magistrati e i giornalisti dettero il maggior contributo di sangue per la sconfitta delle Br e dello stragismo di destra. L’inflazione cominciò a scendere e ricevette il colpo di grazia nel 1984 (governo Craxi) con la riforma del punto unico della scala mobile, dopo una rottura formidabile tra il centrosinistra e il Pci e all’interno del sindacato, che portò al referendum del 1985 vinto dalle forze di governo. In quel tempo, infatti, i governi stabili erano maggioranza nel Parlamento e nel paese, mentre nella Seconda Repubblica mai alcun governo è stato maggioranza nel paese e non a caso i referendum costituzionali di Berlusconi e Renzi sono stati entrambi sconfitti.

Sin dagli inizi degli anni Ottanta l’Italia sembrava voler ricominciare a vivere senza più paura, e liberò le sue migliori energie culturali, politiche ed economiche. La vittoria al mondiale di calcio nel 1982 apparve come il segnale più forte di un paese che stava uscendo finalmente da un lungo periodo di incertezza politica e di paura, con la prospettiva di riprendere una crescita economica non inflazionistica. Così avvenne, tanto che nel decennio 1982-1991 il Pil reale – cioè al netto dell’inflazione – segnò il 27 per cento di crescita, la ricchezza delle famiglie aumentò e al 31/12/1991 il Mezzogiorno vedeva 6,7 milioni di occupati con una iniziale discesa del tasso di disoccupazione. Per capire di cosa si trattò basta ricordare che 24 anni dopo, al 31/12/2015, il Sud aveva solo 5,8 milioni di occupati, per non parlare del declino dell’intero paese.

Molti hanno incolpato il divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro per l’aumento del debito pubblico, che negli anni Ottanta crebbe sino a rappresentare al 31/12/1991 il 98,5 per cento del Pil, con un valore assoluto di 839 miliardi di euro a moneta corrente (oggi siamo a 2.250 miliardi, la povertà è raddoppiata e la crescita è ferma dal 1995). In realtà il debito degli anni Ottanta non fu legato tanto a un aumento sconsiderato della spesa pubblica, quanto invece a una pressione fiscale bassa: fino al 1986 era in media del 35 per cento, quando Francia e Germania erano già da anni al di sopra del 40. Il mancato aumento della pressione fiscale, che avrebbe dovuto compensare la maggiore spesa per interessi legata al divorzio Tesoro-Bankitalia, fu la causa vera della crescita del debito pubblico, ma fu anche il prezzo necessario per evitare che venisse compromessa la lotta contro il terrorismo e l’alta inflazione. Se, infatti, alle leggi speciali e alla riforma della scala mobile avessimo aggiunto una politica fiscale restrittiva colpendo consumi e redditi dei ceti medi e deboli, avremmo costruito una miscela esplosiva i cui effetti si possono immaginare. Quando si ragiona sulla economia di un paese in un determinato periodo, è sempre saggio tenere presente la storia politica dello stesso periodo, saggezza che non sembra appartenere alla maggioranza degli economisti.

L’agognato ingresso nel G7
Evitando l’errore di affrontare tutte insieme le tre sfide ricordate, a metà degli anni Ottanta l’Italia era diventata la quinta potenza industriale del mondo, davanti alla Gran Bretagna, e nel 1985 entrò a pieno titolo in quel G7 che fino ad allora l’aveva mantenuta fuori dalla porta. Agli inizi degli anni Novanta il paese era finalmente coeso, ricco, con un tasso di disoccupazione intorno al 6 per cento (oggi siamo quasi al doppio) e con un patrimonio manifatturiero tra i migliori del mondo, confortato dall’innovazione dell’industria a partecipazione statale, essenziale per un paese in cui il 95 per cento delle imprese sono piccole e medio-piccole, e da una legislazione che incentivava non poco la ricerca. Non fu certo una congiuntura astrale se in quegli anni Ottanta l’Italia ebbe due premi Nobel con Rubbia (1984) e Montalcini (1986): il paese era tornato a respirare quell’aria delle libertà e della tenacia che avevano caratterizzato i primi due decenni del Dopoguerra.

Certo, molte cose ancora non andavano per il verso giusto, ma quell’Italia si era preparata all’impatto della globalizzazione riunendo realtà creditizie e industriali, disciplinando il mercato dei capitali con la riforma della Consob, la disciplina dell’Opa, la costituzione delle Sim e altre misure minori, avviando nel contempo un processo di privatizzazioni oculate, lasciando nelle mani dello Stato alcuni strumenti pubblici di mercato che nei successivi due decenni sono stati svenduti e privatizzati contrariamente a ciò che è accaduto in Germania e Francia. Una morale è possibile evincere da questa breve carrellata sul decennio più discusso della vita repubblicana che vide crollare il comunismo internazionale e quello italiano: senza stabilità e primato della politica un paese va alla deriva. La storia italiana degli anni Cinquanta e Sessanta e poi degli anni Ottanta, rispettivamente con il centrismo e il centrosinistra vero, lo dimostra in maniera incontrovertibile; così come lo dimostrano gli ultimi 25 anni in cui, al contrario, la politica ha smarrito le sue armi migliori, una cultura di riferimento e una democrazia nei partiti capaci di selezionare darwinianamente una classe dirigente all’altezza delle sfide.

Foto Ansa


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